I dintorni di Ferrara

I dintorni di Ferrara

Non solo Comacchio. Tutta la provincia di Ferrara meriterebbe un tour approfondito ben oltre il classico weekend che da consuetudine si destina alla visita delle città d’arte di medie-piccole dimensioni. Ciò detto, qui segnaliamo il versante occidentale della provincia, direzione Bologna: da Bandeno, famosa per i suoi canali; fino a Cento, città natale del Guercino, la cui archittettura richiama, quasi ad anticiparla, quella del capoluogo di regione. In questi territori c’è molto da fare e vedere, compreso indugiare nei diversi ristoranti della zona. Provare per credere!

Comacchio

Comacchio

Comacchio è un’altra tappa imperdibile di una vacanza a Ferrara. I chilometri che dividono le due località sono circa 50 ma, come detto, dedicare parte del proprio soggiorno ferrarese alla scoperta della “piccola Venezia” – uno degli appellativi con cui è conosciuta Comacchio – non è affatto una cattiva idea. L’altro appellativo è quello di “capitale del Delta del Po” e chiarisce l’importanza di questa città lagunare all’interno di un habitat, quello del Parco del Delta del Po, sotto tutela UNESCO dal 1999. Diverse le cose da vedere: dal Trepponti, monumentale ponte simbolo di Comacchio, al Loggiato dei Cappuccini, senza ovviamente dimenticare la ricca offerta balneare di Comacchio, rinomata stazione turistica capace di abbinare qualità dei servizi, come nella migliore tradizione emiliano-romagnola, a un mare impeccabile, ripetutamente premiato con la Bandiera Blu. Da vedere!

Monastero di Sant’Antonio in Polesine

Monastero di Sant'Antonio in Polesine

Fondato attorno all’anno Mille dagli agostiniani, questo monastero passò alle monache benedettine nel 1257. A volere così, l’allora signore di Ferrara Azzo VII d’Este, deciso ad assecondare la vocazione della figlia Beatrice. Dunque una tradizione claustrale che va avanti dal XIII secolo e che a distanza di centinaia di anni ha mantenuto intatta l’aura di sacralità propria di un luogo di raccoglimento e preghiera. Per dire, al mattino presto è possibile sentire la messa con le melodie gregoriane cantate dalle monache. Da vedere, inoltre, il chiostro, con la cappella contenente i resti della beata Beatrice, deceduta pochi anni dopo (1262) l’acquisizione paterna; il coro delle monache, dove a spiccare è la cinquecentesca pala d’altare (La Flagellazione) del pittore ferrarese Niccolò Roselli; e infine la chiesa riservata alle monache, soprattutto gli affreschi di scuola giottesca che decorano le tre cappelle. Maggiori info: Monastero di Sant’Antonio in Polesine.

Ghetto ebraico di Ferrara

Ghetto ebraico di Ferrara

Nel marzo 1492 i Re Cattolici Isabella I di Castiglia e Ferdinando II di Aragona decretarono l’espulsione degli ebrei dai loro territori. Dalla Penisola Iberica migliaia di ebrei furono costretti a riparare in Nord Africa, Medio Oriente e, in parte, anche in Italia. A Ferrara, in particolare, grazie alla politica di accoglienza della famiglia d’Este, gli ebrei poterono insediarsi e vivere in una comunità rispettosa delle altrui tradizioni culturali e religiose. Le cose cambiarono col passaggio della città allo Stato Pontificio, circostanza che portò nel 1627 all’istituzione del ghetto in cui gli ebrei ferraresi vissero fino all’Unità d’Italia. La stagione dei pari diritti, inaugurata con l’unità nazionale, conobbe un brusco arresto con l’istituzione delle leggi razziali nel 1938. A subire le conseguenze della persecuzione nazifascista anche quegli ebrei, come ad esempio lo storico podestà di Ferrara Renzo Ravenna, che avevano sposato la causa del regime mussoliniano fin dall’inizio. Per rivivere questa lunga e tormentata storia bisogna percorrere a piedi Via Mazzini, la strada principale del quartiere ebraico di Ferrara o, meglio ancora, visitare (se aperta) la Sinagoga al civico 95 e il Museo Nazionale dell’Ebraismo Italiano e della Shoah (MEIS) in via Piangipane, 81. Da vedere!

Corso Ercole d’Este

Corso Ercole d'Este

In apertura abbiamo accennato all’importanza per Ferrara del passaggio tra l’urbanistica medievale a quella rinascimentale. Un vero e proprio cambio di scena che è possibile cogliere appieno visitando in successione Via delle Volte e Corso Ercole I d’Este. La prima, abbiamo visto, per l’impronta medievale; Corso d’Ercole I d’Este, invece, perché è l’arteria principale della già citata “Addizione Erculea“: una strada interamente pedonale e quasi sgombera di attività commerciali, in cui quel dialogo stretto tra strade, palazzi e paesaggio di cui abbiamo detto all’inizio raggiunge il suo apogeo. Non a caso, secondo l’Unesco è una delle vie più belle del mondo. Certamente, da un punto di vista storico, il merito va alla famiglia d’Este, ma bisogna riconoscere che questa strada è rimasta bellissima anche dopo che gli Este, nel 1598, lasciarono Ferrara. Tra l’altro, ed è un particolare altamente simbolico, l’abbandono di Ferrara, successivo al passaggio della città allo Stato Pontificio, avvenne attraversando quella Porta degli Angeli che idealmente conclude la strada e di cui gli stessi d’Este, un secolo prima della loro uscita di scena, avevano voluto la costruzione.

Via delle Volte

Via delle Volte

Ferrara, abbiamo detto, è la culla del Rinascimento italiano. La città, però, reca anche molte tracce della sua impronta altomedievale. Tra queste, degna di particolare menzione è Via delle Volte, strada di circa 2 chilometri che attraversa tutta la parte antica di Ferrara. Un tempo questa strada aveva una spiccata vocazione commerciale: proprio a fianco, infatti, scorreva l’antico corso del Po, (poi deviato con l’”Addizione Erculea”) lungo il quale transitavano le merci cittadine sia in entrata che in uscita. I passaggi ad arco sopraelevati – le volte, appunto – consentivano di raggiungere velocemente i magazzini sul lungofiume, esonerando i commercianti dal dover percorrere l’intera strada magari col rischio di incappare in qualche malintenzionato. Oggi di questi magazzini non v’è quasi più traccia e quelli invece rimasti sono stati trasformati in case e ristoranti. Insomma, Via delle Volte racconta la Ferrara che fu, una città in cui a fianco le virtù della laboriosità, dell’ingegno e dell’attitudine al commercio di alcuni abitanti convivevano le passioni “tristi” di altri: dal furto, alla prostituzione fino all’omicidio. In Via delle Volte, specie sul far della sera, quest’atmosfera rivive come suggestione, ed è proprio quest’evocatività a spiegarne il successo turistico. Da vedere!

Palazzo Schifanoia

Palazzo Schifanoia

Ventuno sale; oltre mille metri di percorso e circa 250 opere, più diverse installazioni multimediali a integrazione dell’esperienza museale. Questi, in estrema sintesi, i numeri di Palazzo Schifanoia, sede del Museo di Arte Antica di Ferrara. A volerne l’edificazione, sul finire del XIV secolo, Alberto V d’Este con l’intento di farne una dimora di svago e riposo, concettualmente lontana dai palazzi del potere del Ducato. Da qui il nome di “Schifanoia” che sta per “schivar la noia”, a testimonianza dell’attenzione storicamente riservata dalla famiglia d’Este al mondo dell’arte e della cultura. Attenzione complementare, non antitetica, alla cura degli affari politici e militari; attenzione che spiega anche la lunga influenza in ambito europeo di questa nobile famiglia. Tornando al Palazzo Schifanoia, l’ambiente più famoso, quello che da solo vale la visita, è il Salone dei Mesi voluto nel 1469 dal marchese Borso d’Este. Il nome chiarisce il programma iconografico della sala, i cui dipinti ripercorrono i dodici mesi dell’anno intervallati, però, da scene di vita cortigiana e cittadina. Menzione particolare anche per la Sala delle Virtù, la Sala delle Imprese e, ovviamente, per le raccolte (dalla numismatica, alla ceramica) ospitate. Per maggiori info: Museo Schifanoia.

Palazzo dei Diamanti

Palazzo dei Diamanti

Tra il 1482 e il 1484, Ferrara, sotto la guida di Ercole I d’Este, fu impegnata in un conflitto con la Repubblica di Venezia passato alla storia come “guerra del sale“, dacché all’origine dello scontro c’era appunto l’intraprendenza economica legata al commercio del sale da parte del Ducato di Ferrara. Dopo i fatti, che in verità coinvolsero diversi altri attori, Ercole I volle il raddoppio della città all’interno delle mura: una scelta, dunque, eminentemente difensiva a cui si accompagnò, però, una diversa visione dello spazio urbano. Visione mutuata dalla giovanile frequentazione della corte di Napoli, al cospetto della quale Ercole I aveva avuto modo di approfondire i precetti dell’architettura classica. Il mandato di ridisegnare Ferrara venne affidato da Sigismondo d’Este (fratello di Ercole I) all’architetto Biagio Rossetti che, già sul finire del ‘400, cominciò a lavorare a quella che sarebbe poi passata ai posteri come “Addizione Erculea“. Centrale nel progetto la costruzione di Palazzo dei Diamanti, così chiamato per gli 8.500 blocchi piramidali di marmo bianco che decorano la facciata. Va da sé l’edificio nel corso dei secoli ha avuto diverse modifiche e altrettanti cambi di proprietà. L’acquisizione al patrimonio comunale risale al 1842 proprio con l’intento di sistemarvi la pinacoteca, sebbene la piena valorizzazione artistico-culturale e poi turistica di Palazzo dei Diamanti sia successiva alla Seconda Guerra Mondiale. Oltre alla Pinacoteca, l’edificio ospita le esposizioni della Fondazione Ferrara Arte. Parliamo di mostre dal respiro internazionale, figlie della collaborazione negli anni con musei importanti come il Metropolitan di New York e il Thyssen-Bornemisza di Madrid. Da vedere!
Maggiori info: www.palazzodiamanti.it.

Cattedrale di San Giorgio

Cattedrale di San Giorgio

La Cattedrale di San Giorgio è il principale monumento di Ferrara, nonché uno degli edifici religiosi più importanti dell’Emilia Romagna. Il cantiere per la sua costruzione risale addirittura al 1135 e la consacrazione dell’altare maggiore al 1177. Due date che chiariscono l’originaria impronta romanica della chiesa anche se, come sempre avviene in questi casi, essa è arrivata ai giorni nostri attraverso il secolare susseguirsi di aggiunte, modifiche e restauri. Per dire, la parte bassa della facciata richiama il romanico delle origini, mentre il disegno della parte superiore risulta assai più complesso: dalla facciata tricuspidata, alla statua della Madonna col bambino, passando per i bassorilievi con le scene del Giudizio Univerrsale, senza dimenticare, ovviamente, la raffigurazione di San Giorgio nell’atto di sconfiggere il drago, modifiche strutturali e sovrapposizioni stilistiche sono state davvero tante, a testimonianza di uno sviluppo non lineare che poi ha finito coll’incidere sulla stabilità dell’edificio. Questo è il motivo per cui dopo il terremoto del 2012 la chiesa è stata chiusa al pubblico, circostanza che impedisce di poter ammirare le tre navate all’interno in cui a prevalere è decisamente l’impronta barocca. Per maggiori informazioni sulla storia della Cattedrale di San Giorgio a Ferrara: cattedralediferrara.it.
Da vedere anche il Museo della Cattedrale nell’ex chiesa di San Romano: https://www.youtube.com/watch?v=jmXu_fPKrHE&t=62s.

Castello Estense

Castello Estense

L’attrazione principale di Ferrara nacque a seguito di una rivolta popolare contro la crescente pressione fiscale del ducato. I rivoltosi pretesero dall’allora signore della città, il marchese Niccolò II d’Este, la consegna del consigliere di corte Tommaso da Tortona, ispiratore della politica delle tasse di Ferrara. Dopo il cruento episodio, allo “Zoppo” – questo il soprannome di Niccolò II d’Este – fu chiaro di dover proteggere famiglia e corte da possibili, nuove, rivolte. Da qui la doppia decisione di costruire una fortezza inespugnabile, con tanto di ponti levatoi – correva l’anno 1385 – e contestualmente di reprimere i protagonisti dei moti. Come la maggior parte dei palazzi signorili, anche il Castello d’Este fu pensato con una duplice funzione militare e civile: i piani bassi furono adibiti a sede delle milizie; i piani alti, invece, a residenza della famiglia d’Este e della corte annessa. La visita perciò spazia tra appartamenti, cucine, prigioni, giardino e cappella privata e consente di ricostruire lo stile di vita di una delle famiglie più influenti del Rinascimento italiano. Va da sé, il Castello d’Este di Ferrara ha conosciuto molte altre vicissitudini. Per approfondirne la storia, oltre che per le informazioni utili alla visita, si rimanda al sito: www.castelloestense.it.

Occhio a cosa si mette in valigia

Occhio a cosa si mette in valigia

Eccezion fatta per luglio e agosto, mesi in cui non manca un po’ di vita notturna, chi sceglie una vacanza a Lampedusa non lo fa certo per la mondanità. Quindi bando a tacchi vertiginosi o vestiti troppo impegnativi per la sera e preferenza alla comodità sia in fatto di scarpe che di abbigliamento. E poi occorre proteggersi dal sole che d’estate picchia forte: guai, quindi, a dimenticare cappelli e creme solari. Attenzione anche ai farmaci: per carità, a Lampedusa non mancano farmacie e parafarmacie, però per quel che riguarda l’approvvigionamento dei medicinali c’è sempre da considerare il vincolo del mare. Perciò, in caso di farmaci importanti, di cui non si può/deve fare a meno, è saggio portarseli da casa. Infine, anche se ormai smartphone e iphone regalano scatti di assoluto livello, se hai una reflex e/o una go-pro faresti meglio a portarle con te. Dai tramonti, al mare ai paesaggi sottomarini di cose da fotografare ce ne sono un bel po’.

Cosa mangiare a Lampedusa

Cosa mangiare a Lampedusa

Parlando dei dammusi abbiamo detto della loro origine araba e della diffusione anche in altri territori come Pantelleria, e non solo. Discorso analogo per il cous cous, piatto arabo per eccellenza, la cui popolarità ormai è planetaria. In Sicilia ne esistono molteplici varianti: solo per citarne alcune: trapanese (Trapani), mazarese (Mazara del Vallo), pantesca (Pantelleria) e appunto lampedusana. Perciò una volta sull’isola assaggiare il cous cous (prevalentemente a base di pesce) è senza dubbio tra le cose da fare. Anche il resto della cucina lampedusana è quasi tutto a base di pesce, mentre la piccola Linosa si distingue per la coltivazione delle lenticchie. Perciò, possiamo riassumerla così: cous cous a Lampedusa (per la scelta del ristorante meglio affidarsi a un insider) e zuppa di lenticchie a Linosa. Da provare!

I dammusi di Lampedusa

I dammusi di Lampedusa

In apertura abbiamo definito Lampedusa punto di convergenza di tutte le culture del Mediterraneo. Le abitazioni contadine, i cosidetti dammusi, sono una delle prove di questa transnazionalità. Si tratta di costruzioni in pietra con un tetto a cupola per favorire il deflusso dell’acqua piovana da convogliare nella cisterna a lato della casa. A essere riciclata, ovviamente, non era solo l’acqua piovana, dal momento che le stesse pietre venivano perlopiù prelevate dall’appezzamento coltivato, ottenendo così in una volta sola sia la pulizia del terreno agricolo che un alloggio per sé ed eventualmente, a seconda dello spazio disponibile, per il resto della famiglia e gli animali domestici. Questa tecnica edilizia, tutt’una col sapere contadino, discende dagli arabi ma, come detto, se ne ha traccia un po’ in tutto il Mediterraneo, chiaramente con le peculiarità proprie di ogni contesto. Per dire, a Pantelleria, dove le tracce di questa “domus” sono più numerose, veniva utilizzata la pietra lavica mentre a Lampedusa quella calcarea. Va da sè, oggi i dammusi sono un’attrazione turistica e in molti casi vere e proprie strutture ricettive. Il compromesso con la modernità ha riguardato anche il modo di costruire, specie per la realizzazione delle fondamenta e l’utilizzo della malta, elementi originariamente assenti. Al netto di questo, però, la preservazione e la valorizzazione dei dammusi testimonia la storia millenaria dell’isola, da sempre crocevia di popoli, saperi e tradizioni mediterranee. Da vedere!      

Diving a Lampedusa

Diving a Lampedusa

Se sei un amante delle immersioni Lampedusa è il posto giusto per te. I fondali dell’isola regalano scenari diversissimi (grotte, pareti, secche, praterie di posidonia eccetera) e, quel che è più importante, ce n’è davvero per tutti: dalle immersioni facili a quelle di media e alta difficoltà. Insomma una vacanza nell’Arcipelago delle Pelagie può essere l’occasione per ottenere il brevetto base di immersione o per aumentare il livello delle competenze subacquee già acquisite. Tornando ai punti di immersione ne segnaliamo due, senza pretesa di esaustività: il Panettone, scoglione poco distante dall’Isola dei Conigli; e la Madonnina, statua sommersa nei pressi, invece, della Spiaggia dei Conigli. Per maggiori informazioni sui corsi e le opportunità di immersione disponibili: marinadivinglampedusa.it e mobydivinglampedusa.it.